Certe sere ci chiama, con voce più forte del solito.
Il tramonto si è estinto da poco. Dalla schiena delle colline si innalza un bagliore d’argento. Ha l’eleganza antica di un inno sacro, ma anche la seduzione di un sogno. La terra e il cielo si uniscono in attesa.
E finalmente sorge. Stanotte è splendida. La Luna ha scelto di vestirsi d’oro, dimenticando il suo pallore proverbiale. Le nubi non riescono a nasconderla, i loro veli non fanno che renderla più bella.
Il disco è pieno, e pare enorme, come se riempisse con la sua presenza il cielo intero.
Il mio cammino, intanto, diventa sempre più difficile. Il passo incespica. Non perché sia buio: anzi, la Luna riverbera in ogni roccia del sentiero, e fra le foglie dei carpini e dei roveri. Ma l’occhio non riesce a concentrarsi sulla strada, torna a incantarsi in alto. Avanzo come un sonnambulo, innamorato di un miraggio.

E allora faccio una cosa stupida. Tiro fuori di tasca il cellulare. Voglio fare una foto allo spettacolo, rapire quel momento per conservarlo dentro un file.
Alzo le mani e scatto. La luce dello schermo morde gli occhi, non è certo gentile come quella lunare. Basta quel lieve lampo, e il mondo attorno si spegne, gli occhi feriti non vedono che buio. Forse la Luna si è offesa. Ma ormai l’ho catturata, penso.
Guardo lo scatto, ma è deludente. Un punto bianco, in un mare di nero. Com’è possibile? Dov’è finita la regina della notte, e la sua corte di sospiri e sfumature? L’astro che dominava il cielo, appare nella fotografia ben poca cosa.
Riprovo, con lo zoom. È quello digitale, che sgrana le riprese, però mi illudo che possa avvicinarmi un po’ alla Luna. Niente da fare: il disco nella foto adesso è un po’ più grande, è vero, ma sempre smorto, e ora pure mosso, quasi pronto a fuggire.
Rinuncio, e metto via l’arnese nelle tasche. Prima di ripartire, aspetto che i miei occhi si abituino di nuovo al mondo della notte.
Pian piano, ritorna in alto lo splendore. La Luna è nuovamente grande, e ora già la attorniano le stelle. Non è mortificata, nuda come l’avevo sorpresa, quasi sgomenta di essere finita in uno smartphone. Vorrei chiederle scusa, ma vedo che ha già dimenticato.
Riprendo a camminare, e intanto penso che la mia Luna, forse, non è reale. È immaginaria, anzi, la sua è l’essenza stessa dell’immaginazione. Un’illusione e una speranza, tante emozioni contrastanti, il desiderio e anche il delirio.
È chiaro che l’obiettivo del cellulare non riesca a coglierne l’essenza. Come potrebbe? Lo dice il nome stesso: si attiene ai fatti, il suo è uno sguardo esente da emozioni. Anche una macchina professionale, con lenti e zoom capaci di attraversare l’atmosfera, non coglierebbe che un satellite, lasciandosi sfuggire i sogni che solo l’occhio umano riesce a scorgere.
Se il disco della Luna ci appare più grande di quel che la prospettiva lo consente, forse è proprio perché il nostro sguardo è tutto fuorché obiettivo. È anzi, per fortuna, del tutto soggettivo. Nel nostro modo di vedere, viene coinvolta l’anima intera. C’è una continuità fra percepire ed essere, che a una macchina è per forza preclusa. E allora le cose ci appaiono con proporzioni adeguate alla misura in cui hanno saputo rapire la nostra attenzione.
È un pregiudizio disgraziato che la realtà dell’obiettivo sia più valida, “vera” rispetto alla percezione umana, che è fatta anche di empatia. La vista meccanica è forse più concreta, ma non di certo più elevata. Anzi, è povera, perché le manca un aspetto fondamentale: la partecipazione. L’essere umano che aspira a una visione obiettiva, simile a quella delle telecamere, intende rinunciare a una preziosa parte di sé. Questo sciagurato traguardo, per fortuna, è impossibile. L’immaginazione non verrà mai bandita dal nostro modo di concepire e vivere il mondo. È nella nostra natura, e anche se cerchiamo di combatterla, resterà sempre come un richiamo, quasi un istinto.
La Luna è immaginaria. È anche un fenomeno fisico, certo: un oggetto tangibile, governato dalle leggi descritte dalla scienza. Ma non è soltanto un fenomeno fisico, la sua essenza non si esaurisce in questo. Non se la guardiamo davvero, con gli occhi e con l’anima.
La Luna è molto di più di un ammasso di roccia, dietro una superficie di crateri. In orbita attorno alla Terra c’è una dea. Il suo influsso non si limita alle maree, ma pervade il cosmo intero. La natura ne reca l’impronta, il suo tocco giunge fino al nostro corpo. La luce lunare riverbera persino nell’umore. Nelle sue fasi c’è il mistero della vita, e la forma dei suoi mari ha suggerito leggende ai poeti di ogni paese.
La Luna mi chiama con voce più forte del solito, stasera. Non farò niente per resisterle. Il sentiero, d’altronde, l’ho già smarrito da un pezzo. Credo di essermi perso in una fiaba, e ne sono pure felice. Avanti così, dunque, fra animali lunari e magie arcaiche; nella sapienza dei contadini e dei cercatori di funghi; fra gli enigmi alchemici, in cui gli astri hanno un volto, e fanno anche all’amore.
Se volete, seguitemi: la Luna sarà il nostro mutevole faro.
[Ho iniziato a lavorare a un nuovo testo, dedicato alla #simbologia della Luna. Poesia, magia, tradizioni, leggende e alchimia, mitologia e tanto altro ancora… c’è tanto materiale, la sfida sarà di essere completi senza creare un’enciclopedia noiosa. Ma la Luna, si sa, in questo è la migliore musa.
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Immagine: dettaglio da una stampa di Gustave Doré]