Mietitura

La panetteria in via IX Giugno ha chiuso. Quand’ero bambino, nelle lunghe estati di vacanza da scuola, mia nonna mi ci portava ogni giorno. Per me era una piccola festa: ogni volta la nonna mi comprava un dolce, che il vecchio Marino mi consegnava direttamente in mano. Si sporgeva dal bancone, ed ai miei occhi era alto e minaccioso, con le spalle larghe, le braccia forti, i baffi color acciaio; ma il suo sorriso era gentile e paterno. Ero un bambino timido, eppure mi fidavo ad allungar la mano per prendere il dolce, salvo poi rifugiarmi subito dietro mia nonna, fra le risate di entrambi.

Dopo la morte di Marino, la panetteria passò a suo figlio. Preparare il pane è un lavoro duro, che ruba il sonno e la notte; ma è un sacrificio nobile, ed Angelo vi si impegnò per molti anni. Lui lavorava ai forni, e sua moglie di giorno vendeva il pane ed i dolci. I clienti, però, erano sempre meno: molti di noi lavorano fuori città, e non ci resta di certo il tempo di comprare il pane ogni giorno. Si rincasa a sera tarda, e spesso l’unico giorno libero è la domenica: allora non resta che andare al supermercato, che è sempre aperto, e fare la scorta di pane da congelare.

Non dev’esser stato facile, per Angelo, chiudere la bottega che fu di suo padre e suo nonno. Ma fra tasse e bollette a fine mese restava ben poco, e avrebbe guadagnato molto di più lavorando come dipendente da qualche altra parte.

Angelo ha venduto il locale, e ora al posto della panetteria c’è un’insegna nuova: “Compro Oro”. Non è certo il primo, in città: solo a pochi metri da qui, in via Roma, ce n’era già un altro, e da poco ce n’è anche uno al posto della drogheria del viale.

Mi avvicino diffidente: forse dopo tutti questi anni sono ancora un bambino timido, tutto sommato. Sulla vetrina c’è un grande adesivo, la foto di una bella ragazza che sorride mentre stringe in mano un mazzo di banconote. Ma dentro non c’è nessuno: una sala d’attesa vuota, ed uno sportello protetto da un vetro, senza dubbio una precauzione contro rapinatori e malintenzionati. Per entrare bisogna suonare un campanello. Sarei curioso di entrare, e vedere che genere di accoglienza mi verrebbe riservata. Chissà se dentro ci lavora qualcuno del paese?

Infine mi decido, ed entro. Non attendo che pochi secondi, e subito vengo accolto da un distinto signore, in giacca e cravatta, perfettamente sbarbato e pettinato. Non lo conosco, e non capisco nemmeno se è della zona o meno. Mi parla da dietro il vetro. Ha una voce neutra e suadente, senza alcun accento o inflessione dialettale. A dire il vero non sembra nemmeno un uomo in carne ed ossa, ma una sagoma di cartone, col suo sorriso finto e le sue frasi pronte, come se avesse un repertorio di battute registrate, da ripetere all’occorrenza.

Recita alcune banalità gentili e generiche, convenevoli da quattro soldi, ma poi viene al dunque, ed in quel momento riesco ad intravedere nei suoi occhi l’avidità del corvo. 

Probabilmente non conoscete il vero valore dell’oro: sarete senza dubbio convinti anche voi che il suo prezzo si misura dai grammi. Come se ogni pezzo d’oro fosse uguale!

Se l’oro è prezioso non è soltanto a causa della sua rarità, ma per la sua straordinaria capacità di assorbire le emozioni umane. Pensate, ad esempio, a quando un innamorato regala un anello alla sua amata: l’oro di quell’anello è intriso di amore e desiderio, e nel momento in cui il dono è accettato, il metallo riceve in sè anche la dolce gioia, quella che riempie i cuori e fa girar la testa.

Ecco, tutti questi sentimenti si iscrivono a caratteri indelebili nell’oro, e l’anello diviene così ben più di un semplice oggetto materiale: è memoria pura, un patrimonio di ricordi concentrati e resi tangibili.

Ovviamente nell’oro si registrano anche i sentimenti più bui ed amari, come ad esempio il rancore per un amore che termina, o il veleno della gelosia. Certi le etichetterebbero come “energie negative”, ma una simile denominazione non ha alcun senso: seppur in modo diverso, ogni sentimento della vita è infinitamente prezioso, senza alcuna distinzione.

Ora, sappiate anche che il sentimento rimane avvolto nell’oro per sempre, anche quando lo si fonde per crearne un nuovo oggetto. In simili casi l’oro non perde affatto la memoria che conservava, e mantiene assieme ad essa anche le benedizioni o il peso che le sono associate. Anche quando cambia forma o possessore, l’oro continua però a caricarsi di nuove emozioni, senza mai raggiungere un limite, aumentando sempre di più il suo valore, un tesoro dello spirito a cui non ha senso dare un prezzo in denaro.

A quali abissi di disperazione è spinta la nostra gente? Una famiglia che scambia i propri ricordi col denaro contante – è uno scambio tanto allucinante quanto quello proposto da Shilock.

Ma il corvo lo sa, lui conosce il vero valore dell’oro! Lo guardo, e mi viene un brivido se penso al contrasto fra il suo sorriso sdolcinato e la crudeltà da usuraio spirituale di cui si macchia. Taglio il discorso con una scusa: ho fretta di tornare all’aria aperta, per oggi ne ho avuto abbastanza.

Tane di serpenti, in cui si fa incetta d’oro: penso a quante ce ne sono nella mia città, e provo a calcolare quanti ce ne debbano essere in Italia. Provo una certa vertigine: non si tratta di avidità isolata, no, questa è una rete, una messe organizzata spietatamente, con calcoli e fini precisi.

Il corvo ammassa senza sosta, come un’ape operaia della morte, come l’avvoltoio sul campo di battaglia. Ma non trattiene per sè. Dove finisce, allora, tutto quell’oro?

Ci sarà un Fáfnir che siede su un cumulo d’oro, su un tesoro di ricordi strappati dalle famiglie di tutta Italia, o forse di tutta Europa? E poi, quali intenti si propone? Quale oscura magia ha bisogno di così tanto oro, di così tanta potenza spirituale?