La Confraternita dei Ladri

Incontrai Mirko G. a Brescia, nei pressi della stazione centrale. Ero appena arrivato col treno delle 12:40, e mi ero preso un panino nel bar interno, ma siccome dentro non c’erano posti a sedere decisi di mangiarlo all’aria aperta, tanto più che era una bella giornata di sole.

Nel piazzale di fronte alla stazione c’era una sola panchina, e seduto sopra c’era lui. Leggeva distrattamente il giornale, ma sembrava più interessato ad indagare con lo sguardo la gente che gli passava davanti. Mi sedetti comunque sull’altro lato della panchina, ed iniziai a scrutarlo a mia volta, incuriosito dai suoi lineamenti: bastava una prima occhiata per capire che quell’uomo  aveva vissuto una vita piena ed avventurosa. Avrà avuto poco più di quarant’anni, ma la sua pelle era secca, come asciugata dal freddo. Le sue guance erano ispide, probabilmente non si radeva da giorni; anche i suoi vestiti erano essenziali, né sporchi né in disordine, ma senza nessuna concessione al lusso. I capelli scuri contrastavano con i primi capelli bianchi, come la prima neve sulla terra fredda e scura di novembre. I suoi occhi erano azzurri, taglienti, con quel riflesso gelido di chi ha visto troppe cose per potersi ancora stupire. Ma il suo sguardo era capace di entrarti fin dentro, come una radiografia dell’anima.

Si voltò verso di me, e mi esaminò da capo a piedi. Fu solo allora che vidi il tatuaggio sulla sua guancia, proprio sotto l’occhio sinistro: un ragno nero, ma con sette zampe soltanto.

Ormai da anni mi interesso di simboli, ed in particolare mi hanno sempre affascinato quelli che hanno a che fare con il numero sette. Pur essendo il numero che più di ogni altro ha solleticato l’immaginazione dell’uomo, la sua ricorrenza nei simboli figurati è piuttosto rara: stelle a sette punte, ruote a sette raggi, o anche rose a sette petali si trovano solo sporadicamente, quasi fossero gemme preziose in mezzo ad una moltitudine di sassi comuni.

Mi presentai, e a costo di sembrare sfacciato, chiesi a quell’uomo il significato di quel tatuaggio. Mirko mi fissò in silenzio per alcuni secondi; poi la sua espressione severa si sciolse in un sorriso, e mi disse cordialmente: «Si, ad uno come te posso dirlo senza problemi. Il ragno è il mio mestiere, ed inoltre è un marchio di appartenenza alla confraternita di Dismas.»

«Dismas? Se non sbaglio era il ladro che fu crocifisso insieme a Cristo, e che si pentì prima della morte.»

«Oh, sono stupito! Non sono in molti a ricordarsi il suo nome.»

«Beh, studiare questo genere di cose è uno dei miei passatempi preferiti. Ma di cosa si occupa questa confraternita, se posso chiedertelo?»

«Principalmente di furti; come dice il nome, siamo un gruppo di ladri.»

Sul momento rimasi sconcertato, ma cercai di mantenere la calma, se non altro per darmi un certo contegno di fronte a questo estraneo così singolare!

«Un gruppo, dicevi. Criminalità organizzata?»

«No, niente di così banale. Guarda:» – ed indicò il suo tatuaggio – «il ragno ha sette zampe, eppure riesce a camminare comunque, senza alcuna difficoltà. Ma se ne avesse nove, o undici, o sedici, si muoverebbe goffamente, inciampando sulle sue stesse zampe.

Ecco, i nostri furti non sono quelli miseri e volgari di chi è mosso dall’invidia e dalla cupidigia. Al contrario, noi rubiamo per carità verso il prossimo.»

«Rubare ai ricchi per dare ai poveri?»

«Non avrebbe alcun senso: si creerebbero dei nuovi ricchi e dei nuovi poveri, ed entrambi ne soffrirebbero. Spesso chi è povero non sa sostenere il peso dell’abbondanza, e consegnargli un dono eccessivo significherebbe la sua rovina.»

«E quindi?»

«Noi togliamo a chi ha in eccesso, per sgravarli dall’insopportabile peso di ciò che possiedono. Io sono un ragno, come ti dicevo: il mio lavoro è proprio quello di individuare le prede. Ecco, guarda lì, ad esempio!»

Mirko si alzò in piedi, e mi indicò un ragazzino che stava camminando distrattamente sull’altro lato del piazzale. Era poco più di un bambino, forse non aveva nemmeno quattordici anni; aveva uno zainetto sullo spalle, probabilmente tornava da scuola. Davanti agli occhi teneva un cellulare, e con la mano accarezzava in continuazione il touch-screen: forse stava scrivendo a qualche suo amico, o forse giocava soltanto, chissà.

«Vedi?», mi disse, e poi si incamminò verso il ragazzo. Mirko gli rubò il cellulare con un’abilità tale da rendere la parola “furto” del tutto inadeguata a descrivere le sue azioni.

Per prima cosa salutò il ragazzo, poi si mise a parlare con lui. Non sentivo quel che diceva, ma gesticolava come se gli stesse chiedendo delle indicazioni stradali. Poi gli prese dalle mani il cellulare, e distrasse il ragazzo, indicando con il braccio verso il viale; mentre lui guardava in questa direzione, Mirko mise in tasca la refurtiva, dopo di che salutò il malcapitato e persino lo ringraziò.

«Come hai fatto?», gli chiesi quando tornò da me.

«Ah, vuoi diventare un ladro anche tu?»

«No, no… È che quel ragazzo ti ha lasciato il cellulare, senza protestare. Anzi, senza nemmeno accorgersene.»

«Bisogna solo essere naturali, agire senza nascondere nulla, evitando di destare sospetti con movimenti furtivi; tutto il resto vien da sè. In fondo, una parte del derubato desidera essere alleggerito dal suo peso, anche se lui stesso non ne è cosciente. Ed è proprio di quella parte inespressa che noi veniamo in soccorso. Guarda!»

Indicò nuovamente il ragazzo. Continuava a passeggiare tranquillo, ancora ignaro d’esser stato derubato. Ma ora camminava a testa alta, guardandosi attorno, come se vedesse per la prima volta dopo tanto tempo la sua città, i palazzi, gli alberi a fianco del marciapiede.

Mirko continuò: «Possedere un oggetto non è di per sè un peccato; il problema si presenta piuttosto quando è l’oggetto a possedere l’uomo!»

«Effettivamente il verbo “possedere” si usa sia nei confronti di un patrimonio che nei confronti di un indemoniato. In un certo senso potremmo dire quindi che i vostri furti sono una sorta di esorcismo.»

Mirko annuì sorridendo. «Il ragno deve saper capire i volti, deve leggere negli occhi i segni di chi è oppresso dai beni materiali che possiede. Dal centro della ragnatela osserva, attende ed individua chi dev’essere curato dalla sua ricchezza.»

«Ma adesso che ne farai del cellulare? Lo tieni tu? O lo rivenderai?»

«Uno dei giuramenti che si compiono al momento dell’ingresso nella confraternita è la rinuncia ad ogni possesso. La chiamano “la maledizione del ladro”, ma come avrai capito si tratta piuttosto di una benedizione. Guarda: dopo una simile rinuncia, tutta la città mi appartiene, anzi, tutto il mondo! che senso avrebbe accumulare e mettere da parte?

Se voglio mangiare qualcosa, lo prendo senza troppi complimenti. Se voglio guidare una macchina posso aprirla senza problemi: ce ne sono così tante, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Quando non mi servirà più l’abbandonerò, parcheggiandola dove capita: così non ho nemmeno tutte quelle preoccupazioni riguardanti assicurazioni, benzina e tasse di circolazione. E se voglio dormire in un posto caldo non devo far altro che entrare in uno dei tanti appartamenti sfitti della città! Cosa posso desiderare di più?

A parte simili eccezioni, non tratteniamo mai la refurtiva. La si manda ai draghi, i membri incaricati di gestire il patrimonio della confraternita. Gestiscono il bottino, lo tengono al sicuro, oppure lo rivendono. Abbiamo un tesoro non da poco, sparso in in banche di tutto il mondo.

Ad ogni modo, io rubo soltanto raramente, in genere quel poco che mi basta per vivere in maniera dignitosa. Ognuno ha il suo ruolo: il ragno individua la vittima, ma in genere non colpisce direttamente. Quelli che eseguono il furto per strada sono chiamati “scorpioni”. Dato che ti interessi di tatuaggi, questo è il segno che li contraddistingue.»

Prese un foglio, e mi disegnò questa suggestiva figura:

«Anche qui ci sono sette stelle, come le sette zampe del ragno. Hanno un altro significato?»

«Nella confraternita il senso principale del sette è il richiamo al settimo comandamento: “non rubare”.

Gli scorpioni non rubano sempre agilmente come ho fatto io ora. Spesso danno anche un bel pugno sullo stomaco alle loro vittime, e prendono la refurtiva sfrontatamente, sotto gli occhi del malcapitato. Anche un bel pugno, ogni tanto, può essere salutare!»

«Oltre ai cellulari, che cosa rubate di solito?»

«Dipende dall’ispirazione del ragno. Io mi concentro sul denaro, una delle catene più dure da sopportare per il fragile animo umano. I soldi non sono appagamento, ma la promessa di una soddisfazione futura. Chi potrebbe resistere ad una tentazione così infida?

Altri ragni si concentrano sugli oggetti preziosi, o su elettrodomestici ed automobili, o persino cose più quotidiane, come cibo e libri. Ne ho conosciuto uno che toglieva alle sue vittime mogli e fidanzate, facendole sedurre da un ladro d’amore di sua fiducia. Non in maniera indiscriminata, s’intende, ma solo nei casi in cui una simile separazione si rendeva necessaria per il bene di entrambi. Stranezze come questa, comunque, sono casi eccezionali, e non rappresentano certo la regola.

Non è il mio stile, ma ci sono anche ragni che fanno rubare armi o droga. Lo trovo superficiale: non risolvono un problema, ma ne asportano soltanto il sintomo. Ma ognuno è libero di agire come gli pare, e non sarò certo io a intromettermi nelle loro ragnatele.»

«Anche armi e droga vanno a finire nel tesoro della confraternita? Ma poi le rivendono?»

«No. Un altro giuramento della confraternita ci vincola a non commettere nessun peccato se non quello del furto. Le armi vengono distrutte, e la droga bruciata: come ti dicevo, non devi confonderci con la mafia!»

«Chissà, forse anche la mafia delle origini era più simile ad un sistema sociale che ad una associazione a delinquere; la mafia attuale ne sarebbe una degenerazione patologica.»

«Lo stesso si potrebbe dire a riguardo dei mercanti d’un tempo, se confrontati con il consumismo dell’attuale sistema capitalista. Vedi come sono pericolosi i veleni del denaro e del possesso?»

«Parlavi di peccati e di giuramenti; mi pare di capire che a modo vostro siete molto religiosi.»

«Teoricamente la confraternita di Dismas fa parte della Chiesa Cattolica, anche se nessun curato lo ammetterebbe ad alta voce! Si dice addirittura che la confraternita sia stata creata da un cardinale, nel XII secolo. Pare sia stato in Toscana, ma la storia degli inizi è abbastanza oscura: del resto, abbiamo tutti gli interessi a rimanere nell’anonimato.

La fede non viene imposta, e l’atteggiamento varia con la massima libertà a seconda delle disposizioni personali dei singoli membri. Conoscevo una banda di orsi di Milano…»

«Orsi?»

«Ladri specializzati nel svaligiare appartamenti e ville di lusso.»

«Che simbolo hanno?»

«La costellazione dell’orsa maggiore.»

«Ah, anche qui sette stelle!»

«Esatto! Insomma, ci sono questi cinque orsi di Milano, gente molto seria e devota. Quando colpiscono, svuotano completamente tutte le stanze, senza lasciare nemmeno una briciola sul pavimento. La cosa divertente è che alla fine inchiodano un crocifisso di legno sulla parete vuota, e davanti lasciano un inginocchiatoio, come quello delle chiese.»

«E dove li prendono?»

«Li rubano da qualche chiesa, ovvio. Ma in cambio lasciano nelle chiese poltrone, divani, quadri o cose di questo genere.»

«Mi dicevi che i draghi gestiscono un patrimonio finanziario molto grande. Ma cosa se ne fanno di tutti quei soldi?»

«Una piccola parte serve a garantire una buona pensione per i membri più anziani, ma da quel che ho sentito il grosso del denaro viene usato per destabilizzare la finanza internazionale, creare crisi economiche, mandare in fallimento banche e grosse aziende, cose di questo genere.»

«Quindi siete stati voi a creare l’attuale crisi?»

«Non a crearla; l’abbiamo soltanto aiutata, l’abbiamo fatta sbocciare. Il sistema capitalista va in crisi da solo, per sua stessa natura: qualcosa a che fare con la caduta tendenziale del saggio di profitto, ma non ho mai capito bene come funziona.

Anche la parola “crisi” è scorretta: fa pensare ad un attimo, un breve periodo negativo che prima o poi passerà, ma in realtà è il sintomo ricorrente di una malattia cronica, come la febbre quartana!

Non conosco i dettagli, ma so che la confraternita finanzia anche partiti e gruppi di pressione politica.»

«Pensavo che il mondo corrotto della politica andasse contro i vostri principi.»

«Appunto. Il sistema è malato di per sè, e come ogni malattia cerca l’autodistruzione. Cercare di salvarlo vuol dire prolungarne l’agonia, tenere in vita la malattia. Meglio lasciarla al suo decorso, o magari accelerarne l’autodistruzione.

La confraternita cerca di salvare le persone, i singoli esseri umani. Dei gruppi e delle aziende, delle città e delle nazioni pensiamo che siano un’altro dei pesi che limitano la libertà del singolo.

Ma io sono solo un ragno, di queste cose non mi occupo, parlo solo per sentito dire. Mi concentro sul mio ruolo, e lascio volentieri ai draghi queste decisioni difficili.»

«C’è una gerarchia fra i vari ruoli?»

«No, ogni compito ha la sua importanza, e tutti hanno la stessa dignità. Inoltre sono ereditari: i primogeniti della mia famiglia sono ragni ormai da sette generazioni. Però ci sono tre gradi gerarchici.»

«Come nelle corporazioni medievali, apprendista, compagno e maestro?»

«Qualcosa di simile, solo che qui i gradini formano, per così dire, una scala in discesa: non è una questione di potere, ma al contrario più si aumenta di grado e più ci si dona al servizio degli altri. Anche i gradi, come i ruoli, hanno il nome di un animale: “assiolo”, “merlo” e “pettirosso”.

L’assiolo è l’uomo di strada, quello che fa il lavoro duro. Il merlo è una sorta di vescovo dei ladri, che coordina e gestisce un suo territorio. Io, ad esempio, ho il grado di merlo. Il pettirosso è il più umile ed indifeso di questi uccelli, eppure rappresenta il grado più alto, coloro che decidono le sorti e la direzione dell’intera confraternita.»

«Ma anche salendo di grado, il mestiere rimane lo stesso?»

«Si, ed è un ottimo sistema. Nelle aziende in genere l’operaio più abile viene messo a fare il capo degli altri: in questa maniera lui non fa più il lavoro in cui si distingueva, e si perde un ottimo manovale. Altre volte, per evitare questo, si mette a fare il capo quello meno bravo a lavorare, e il risultato è ancora più deleterio. Distinguendo gradi e mestieri, invece, evitiamo di incorrere in queste storture.»

«Ma dimmi, hai mai avuto guai con la giustizia?»

«Se mi facessi notare, vorrebbe dire che non faccio bene il mio lavoro. Ma in passato sono stato arrestato; ormai saranno venti anni fa.»

«Com’è successo?»

«Mi sono lasciato sorprendere apposta. La prigione è la nostra scuola e la nostra cattedrale: ogni ladro deve passarvi almeno tre anni prima di venir formalmente accolto nella confraternita.»

«Non vi spaventa la perdita di libertà?»

«Come disse l’Amleto di Shakespeare, “Potrei venir rinchiuso in un guscio di noce e ancora ritenermi re di uno spazio infinito.” La libertà è uno stato interiore, non una semplice mancanza di vincoli fisici. Guardati attorno: chi è libero? Siete obbligati a lavorare per mangiare, siete costretti ad avere una casa per dormire, dovete vestirvi bene per sembrare rispettabili, e se volete far colpo su una ragazza vi tocca comprare una macchina costosa, e magari di strada vi indebitate con qualche banca… ti sembra libertà questa? Quand’anche io fossi in catene o in una cella d’isolamento, rimarrei sempre libero. Ma quanti di questi “liberi cittadini” potrebbero dire altrettanto?»

Mirko ormai parlava a ruota libera, e io dovevo andare via: l’appuntamento per cui ero venuto a Brescia ormai era fra mezz’ora. Non so perché mi raccontò così tante cose sulla confraternita, con dettagli che avevano tutta l’aria di essere un segreto. “A te lo posso raccontare”, aveva detto: forse i suoi occhi da ragno avevano capito che non avrei fatto un cattivo uso delle sue rivelazioni. Oppure mi stava mettendo alla prova, per capire se ero una preda bisognosa di essere curata dalle cose di sua proprietà. O forse era semplicemente un bisogno di essere ascoltato, di ricevere l’attenzione di un altro essere umano: anche questa è una tentazione subdola, altrettanto pericolosa del possesso materiale.

Lo salutai e me ne andai, non prima di aver controllato di avere ancora nelle tasche il portafogli ed il telefonino.