Una biodiversità degli argomenti

Non è facile trovare l’equilibrio fra l’urgenza di certi argomenti, e la necessità umana di affrontare anche questioni meno pressanti, o anche di divagare su temi che importanti non lo sono affatto.

In questi giorni seguo mio malgrado le polemiche sulle olimpiadi – come un fumatore passivo di notizie, resto aggiornato anche se non lo voglio, perchè tutti attorno a me sbuffano nell’aria il loro punto di vista sulla questione del pugilato, o della Senna, o della cerimonia d’apertura. E allora mi viene spontanea la reazione: invece di ossessionarsi su queste quisquilie, non sarebbe più sensato concentrarsi su problemi più gravi? La guerra in corso, ad esempio – e ne parlo al singolare, perchè i diversi focolai appartengono allo stesso incendio: e anche se non vorremmo ammetterlo, siamo coinvolti da vicino anche noi.

Poi però mi accorgo di essere il primo che si mette a discutere di divinità scandinave della fertilità, o a scrivere paragrafi interi sulla simbologia dell’uovo sodo (vero eh, il libro sul cibo esce questo settembre). Insomma, non certo questioni importantissime, me ne rendo conto.
C’è anche da dire che quelle che per me sono inezie, per altri possono essere questioni fondamentali; forse posso archiviarle frettolosamente solo perchè non mi riguardano, e in quel caso il mio disinteresse sarebbe egoistico e snob, la posizione di chi ha un privilegio e non sa neppure di averlo. E poi, quando capita a me, quando qualcun altro sminuisce i miei interessi, non reagisco forse con un rabbioso senso di ingiustizia?

In ogni caso, sarebbe anche distopico se il nostro discorso collettivo si concentrasse solo ed esclusivamente sulle catastrofi climatiche, o sul tumultuoso collasso di un ordine mondiale che davamo per scontato. C’è bisogno di parlare anche di sport e telefilm, rospi in riva al fiume, spiagge, quadri dell’ottocento, bicchieri di vino, videogiochi e sagre di paese.
Forse una discriminante sta nella misura: è vero che non sarebbe umano fissare ogni pensiero sull’urgenza in corso; ma se indirizzo ogni fibra della mia attenzione su discussioni di poco conto, è abbastanza probabile che si tratti di una misura per non affrontare i problemi reali. Che sia uno specchietto per le allodole, alzato appositamente da chi detiene il potere, per distrarre l’opinione pubblica; o che sia una reazione spontanea di un popolo che fa di tutto pur di non pensare a problemi che capisce esser gravi, ma su cui sente di non avere alcun potere di intervento: in ogni caso, non è certo un modo sano di affrontare la complessità del reale.

Per tentare una conclusione, direi che anche qui è necessario mantenere una certa biodiversità, tanto nei propri pensieri che nel discorso pubblico. Una monocultura degli argomenti è indice e motore di squilibrio.
Abbiamo bisogno di bilanciare impegno ed evasione, tendendo presente che il punto di equilibrio è diverso per ciascuno di noi. Anche l’urgenza più grande non deve soffocare la sana curiosità verso gli aspetti apparentemente secondari della vita, e persino verso quelli più vaghi. Proprio per questo, non dobbiamo tradire questa preziosa libertà di divagazone, usandola strumentalmente per non affrontare i lati più gravi del reale.