Ogni conflitto generazionale dovrebbe tenere conto degli sbalzi ciclici con cui vira il condizionamento culturale in cui ciascuno di noi è immerso.
Dalla nascita fino a trent’anni, un coro di voci ti ha insegnato cos’è giusto e cos’è sbagliato: genitori, maestri di scuola, gli amici, la tv, i giornali, le istituzioni. E poi, a trentun anni, lo stesso coro svolta all’improvviso, e ti biasima per aver creduto in ciò che ti avevano detto. Ti senti lo stesso di sempre, eppure ora sei “alla vecchia” perché non ti riesce di ribaltare l’intero sistema di valori su cui hanno orientato la tua vita.
Ma questo rifiuto ad adattarsi non è soltanto resistenza al cambiamento; è anche e forse soprattutto una disillusione. Le generazioni più giovani possono ancora essere convinti di procedere nella direzione giusta, quella che porterà finalmente alla giustizia, forse addirittura alla salvezza. Di fronte vedono un rettilineo, la loro curva è ancora oltre l’orizzonte. Ma chi ha già dovuto svoltare una volta, non riesce più a fidarsi di quella incoraggiante promessa. Il rifiuto di accettare i nuovi valori è allora anche un disperato tentativo con cui ci si ostina contro ogni evidenza a credere che la morale non possa cambiare. Mi hanno insegnato così, e per me sarà sempre così, perché è rassicurante, perché altrimenti dovrei imparare a navigare a vista. E però è forse ancora più insincera la scelta di chi si adegua alle nuove e transitorie Verità Eterne, recitando in superficie lo stesso entusiasmo che i più giovani, per il momento, hanno la fortuna di poter esprimere dal cuore.
(immagine dalla rivista Die Muskete, 1927)